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Introduzione
La parola
“migrazione” deriva dal latino mĭgrātĭo (emigrazione,
trasferimento, passaggio) e, in senso figurato, del greco metafora, dalle due
radici “metà”, più là, e “phorein”, traslocare, portare,
spostare più là). Quest’antica definizione della migrazione oggi è troppo stretta, soprattutto dopo le
scoperte archeologiche sull'origine dell’uomo che stabiliscono come le tribù
dell’Homo Sapiens lasciarono la culla afro-orientale (Etiopia) e si
“spostarono” per tutta la Terra, inaugurando una fase in cui l’umanità entrò in
possesso di tutto il pianeta e celebrò l'inizio della migrazione come condotta
normale degli esseri umani. È a questo migrare che dobbiamo molto di quello che
siamo oggi: le ricerche ci dicono infatti che lo sviluppo del piede, del
ginocchio e del bacino nell'uomo moderno sono avvenuti anche grazie al
camminare dei nostri progenitori.
Nelle comunità primitive il processo
migratorio è generalizzato: non c’è ancora la divisione sociale del lavoro e
quindi tutti migrano, perché solo migrando potevano coprire i loro bisogni di
beni.
Quando, in epoca storica, arriva lo
schiavismo, la migrazione non è più un processo voluto: la proprietà privata
sui mezzi di produzione fa nascere lo sfruttamento degli uni sugli altri, e
l’essere umano diventa merce di scambio da cui trarre profitto. La migrazione
diventa coatta, spesso mortale: chi perdeva una battaglia o una guerra era
portato nelle terre di residenza dei vincitori, strappato alla propria famiglia
e con questa quasi mai ricongiunto.
Nel feudalesimo e, più tardi, nello
“schiavo-feudalesimo” imposto dal Vecchio Continente nelle colonie africane,
asiatiche o latinoamericane, la migrazione ha le stesse caratteristiche, tranne
che gli schiavi hanno acquisito dei diritti in relazione alla capacità di soddisfare
le esigenze dei propri “padroni”.
Nel capitalismo la forza-lavoro è una merce,
e solo chi la vende ha “la libertà di scegliere lo sfruttatore”. La migrazione
di centinaia di milioni di braccia altro non è che un mercato mondiale di
manodopera. Così come in passato si pretendeva di nascondere l’origine del
profitto - quindi il plusvalore generato degli operai - oggi si vuole
nascondere il profitto che generano i lavoratori immigrati in ogni paese dove
arrivano. Si vuole nascondere che gli operai stranieri sono stati portati
apposta per far concorrenza agli operai italiani e far sparire ogni traccia dei
diritti lavorativi di tutti.
La presenza in un paese di milioni di persone
immigrate non può essere spiegata attraverso una sola risposta. La maggior parte
delle persone immigrate in Italia sono arrivate in aereo e via terra, non per
mare come i mass media pretendono di far credere. I gommoni e i barconi pieni
di "affamati" sono immagini che alimentano la politica discriminante
e impauriscono chi crede nella trama della Lega Nord: "l’Italia agli
italiani" o "Padania libera". I concetti di “nostra terra”,
“nostra nazione”, “nostra Unione Europea” appartengono esclusivamente a chi
veramente è proprietario di questi posti, perché i confini nascono per legalizzare
la proprietà.
"Le nostre risorse naturali",
"i nostri schiavi", "i nostri operai", "i nostri
animali", "i nostri mari", e poi, subito dopo, "la nostra
cultura", "la nostra religione", "la nostra musica".
Ponendosi dentro dei confini sembra che tutto sia di tutti, naturalmente finché
qualcuno fa vedere i titoli di proprietà. I confini si aprono e si chiudono
solo quando i padroni del posto lo vogliono. I confini delle nazioni sono parte
della sicurezza e sono impenetrabili. Il controllo per l’aria, la terra e il
mare garantisce il flusso - desiderato o no - di persone o cose: siamo nel
terzo millennio, il mercato delle merci è stato globalizzato tanto che le cose
possono passare da un confine ad un altro. Solo una merce non può circolare
liberamente: la forza-lavoro.
I mercati internazionali funzionano
attraverso trattati di libero commercio che sembrano accordi di reciproco
vantaggio. I paesi sviluppati e industrializzati si accordano con paesi
arretrati con patti che regolano il flusso delle merci. Lo fanno a seconda
degli interessi dei grandi produttori a detrimento di quelli di migliaia di
piccoli e medi produttori dei paesi dipendenti. I trattati che regolano il
flusso della merce forza-lavoro, quindi anche i suoi diritti, invece, ancora
non sono stabiliti fra i paesi. Il flusso delle persone si regola con norme
bilaterali di vecchia data, ma se in futuro si firmeranno accordi saranno
ugualmente sottomessi agli interessi dei grandi capitalisti, e solo dei governi
indipendenti dal sistema coloniale attuale potrebbero costringere a firmare
trattati in vantaggio della merce forza-lavoro, magari attraverso accordi che
riconoscano i diritti umani e lavorativi delle persone emigrate in queste
“grandi” nazioni. L’immigrazione è un processo generatore di grandi risorse
economiche e per questo ci sarà sempre qualcuno o tanti pronti ad approfittare
di questo massiccio movimento di persone.
La migrazione è un tema sempre caldo. Le
persone ne parlano, gli “esperti” ne discutono nei dibattiti, alle tavole
rotonde e durante i convegni. I “cifra-tuttologi”, infine, ne espongono
diligentemente i numeri, e fra tutti sono i peggiori: attraverso dati e cifre,
questi ultimi hanno infatti la capacità di trasformare la fame nel mondo in una
semplice statistica, facendo dimenticare quasi sempre che si parla di esseri
umani. I tanti uomini, donne e bambini che da più di vent’anni sentiamo
arrivare da lontano finiscono in poco tempo per diventare delle unità di
forza-lavoro nel sistema produttivo di questo paese. Quindi, una volta tuffati
nel mercato del lavoro, sembra che spariscano, a conferma che la finalità
dell’immigrazione è proprio il lavoro.
Chi sostiene che l’immigrazione è un fenomeno
ne dà un’immagine assolutamente falsata. Quasi che le persone immigrate
stessero fuggendo come in un esodo o come buoi allo sbando. Chi sostiene il
concetto del “fenomeno” non riesce a capire che chi vuole “scappare” dai paesi
del “terzo mondo” per fame, guerra o per sfuggire a catastrofi naturali, deve
avere come minimo i quattrini per pagarsi il biglietto del viaggio. Per
attraversare l'Oceano Pacifico, Atlantico o Indiano non si può essere
indigenti, occorre avere un minimo di risorse economiche per acquistare un
biglietto di viaggio di qualsiasi mezzo di trasporto dall'Asia, Africa o America
Latina verso l’Europa, Stati Uniti, Canada o altri paesi. Cioè avere da 5mila a
10mila dollari a testa per arrivare a destinazione.
La maggior parte delle persone immigrate
provengono dal cosiddetto ceto medio dei loro paesi. Per questo fra le persone
immigrate troviamo laureati, professionisti, piccoli e medi imprenditori,
persone che hanno un gran bagaglio culturale, quasi tutti bilingue. Queste
persone escono dal loro paese con progetti di vita, pianificati dentro le mura
familiari con la speranza di diventare il più presto possibile possessori di un
salario ricco nei paesi del “primo mondo”. Milioni di progetti di vita non
possono esseri considerati come un fenomeno. Al contrario della visione
proposta dalla maggior parte delle ONG, l’immigrazione è una condotta umana che
può essere analizzata solo dentro un processo di mercato mondiale di
forza-lavoro, cioè dentro l’offerta e la domanda internazionale di posti di
lavoro. Una condotta umana che, a seconda
del modo di produzione in cui si attua, stabilisce dei processi. Processi che
hanno delle fasi chiare dentro un tempo e uno spazio.
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