Libro: La inmigración como proceso en Italia
domenica 3 ottobre 2021
mercoledì 9 aprile 2014
In Italiano |
Introduzione
La parola
“migrazione” deriva dal latino mĭgrātĭo (emigrazione,
trasferimento, passaggio) e, in senso figurato, del greco metafora, dalle due
radici “metà”, più là, e “phorein”, traslocare, portare,
spostare più là). Quest’antica definizione della migrazione oggi è troppo stretta, soprattutto dopo le
scoperte archeologiche sull'origine dell’uomo che stabiliscono come le tribù
dell’Homo Sapiens lasciarono la culla afro-orientale (Etiopia) e si
“spostarono” per tutta la Terra, inaugurando una fase in cui l’umanità entrò in
possesso di tutto il pianeta e celebrò l'inizio della migrazione come condotta
normale degli esseri umani. È a questo migrare che dobbiamo molto di quello che
siamo oggi: le ricerche ci dicono infatti che lo sviluppo del piede, del
ginocchio e del bacino nell'uomo moderno sono avvenuti anche grazie al
camminare dei nostri progenitori.
Nelle comunità primitive il processo
migratorio è generalizzato: non c’è ancora la divisione sociale del lavoro e
quindi tutti migrano, perché solo migrando potevano coprire i loro bisogni di
beni.
Quando, in epoca storica, arriva lo
schiavismo, la migrazione non è più un processo voluto: la proprietà privata
sui mezzi di produzione fa nascere lo sfruttamento degli uni sugli altri, e
l’essere umano diventa merce di scambio da cui trarre profitto. La migrazione
diventa coatta, spesso mortale: chi perdeva una battaglia o una guerra era
portato nelle terre di residenza dei vincitori, strappato alla propria famiglia
e con questa quasi mai ricongiunto.
Nel feudalesimo e, più tardi, nello
“schiavo-feudalesimo” imposto dal Vecchio Continente nelle colonie africane,
asiatiche o latinoamericane, la migrazione ha le stesse caratteristiche, tranne
che gli schiavi hanno acquisito dei diritti in relazione alla capacità di soddisfare
le esigenze dei propri “padroni”.
Nel capitalismo la forza-lavoro è una merce,
e solo chi la vende ha “la libertà di scegliere lo sfruttatore”. La migrazione
di centinaia di milioni di braccia altro non è che un mercato mondiale di
manodopera. Così come in passato si pretendeva di nascondere l’origine del
profitto - quindi il plusvalore generato degli operai - oggi si vuole
nascondere il profitto che generano i lavoratori immigrati in ogni paese dove
arrivano. Si vuole nascondere che gli operai stranieri sono stati portati
apposta per far concorrenza agli operai italiani e far sparire ogni traccia dei
diritti lavorativi di tutti.
La presenza in un paese di milioni di persone
immigrate non può essere spiegata attraverso una sola risposta. La maggior parte
delle persone immigrate in Italia sono arrivate in aereo e via terra, non per
mare come i mass media pretendono di far credere. I gommoni e i barconi pieni
di "affamati" sono immagini che alimentano la politica discriminante
e impauriscono chi crede nella trama della Lega Nord: "l’Italia agli
italiani" o "Padania libera". I concetti di “nostra terra”,
“nostra nazione”, “nostra Unione Europea” appartengono esclusivamente a chi
veramente è proprietario di questi posti, perché i confini nascono per legalizzare
la proprietà.
"Le nostre risorse naturali",
"i nostri schiavi", "i nostri operai", "i nostri
animali", "i nostri mari", e poi, subito dopo, "la nostra
cultura", "la nostra religione", "la nostra musica".
Ponendosi dentro dei confini sembra che tutto sia di tutti, naturalmente finché
qualcuno fa vedere i titoli di proprietà. I confini si aprono e si chiudono
solo quando i padroni del posto lo vogliono. I confini delle nazioni sono parte
della sicurezza e sono impenetrabili. Il controllo per l’aria, la terra e il
mare garantisce il flusso - desiderato o no - di persone o cose: siamo nel
terzo millennio, il mercato delle merci è stato globalizzato tanto che le cose
possono passare da un confine ad un altro. Solo una merce non può circolare
liberamente: la forza-lavoro.
I mercati internazionali funzionano
attraverso trattati di libero commercio che sembrano accordi di reciproco
vantaggio. I paesi sviluppati e industrializzati si accordano con paesi
arretrati con patti che regolano il flusso delle merci. Lo fanno a seconda
degli interessi dei grandi produttori a detrimento di quelli di migliaia di
piccoli e medi produttori dei paesi dipendenti. I trattati che regolano il
flusso della merce forza-lavoro, quindi anche i suoi diritti, invece, ancora
non sono stabiliti fra i paesi. Il flusso delle persone si regola con norme
bilaterali di vecchia data, ma se in futuro si firmeranno accordi saranno
ugualmente sottomessi agli interessi dei grandi capitalisti, e solo dei governi
indipendenti dal sistema coloniale attuale potrebbero costringere a firmare
trattati in vantaggio della merce forza-lavoro, magari attraverso accordi che
riconoscano i diritti umani e lavorativi delle persone emigrate in queste
“grandi” nazioni. L’immigrazione è un processo generatore di grandi risorse
economiche e per questo ci sarà sempre qualcuno o tanti pronti ad approfittare
di questo massiccio movimento di persone.
La migrazione è un tema sempre caldo. Le
persone ne parlano, gli “esperti” ne discutono nei dibattiti, alle tavole
rotonde e durante i convegni. I “cifra-tuttologi”, infine, ne espongono
diligentemente i numeri, e fra tutti sono i peggiori: attraverso dati e cifre,
questi ultimi hanno infatti la capacità di trasformare la fame nel mondo in una
semplice statistica, facendo dimenticare quasi sempre che si parla di esseri
umani. I tanti uomini, donne e bambini che da più di vent’anni sentiamo
arrivare da lontano finiscono in poco tempo per diventare delle unità di
forza-lavoro nel sistema produttivo di questo paese. Quindi, una volta tuffati
nel mercato del lavoro, sembra che spariscano, a conferma che la finalità
dell’immigrazione è proprio il lavoro.
Chi sostiene che l’immigrazione è un fenomeno
ne dà un’immagine assolutamente falsata. Quasi che le persone immigrate
stessero fuggendo come in un esodo o come buoi allo sbando. Chi sostiene il
concetto del “fenomeno” non riesce a capire che chi vuole “scappare” dai paesi
del “terzo mondo” per fame, guerra o per sfuggire a catastrofi naturali, deve
avere come minimo i quattrini per pagarsi il biglietto del viaggio. Per
attraversare l'Oceano Pacifico, Atlantico o Indiano non si può essere
indigenti, occorre avere un minimo di risorse economiche per acquistare un
biglietto di viaggio di qualsiasi mezzo di trasporto dall'Asia, Africa o America
Latina verso l’Europa, Stati Uniti, Canada o altri paesi. Cioè avere da 5mila a
10mila dollari a testa per arrivare a destinazione.
La maggior parte delle persone immigrate
provengono dal cosiddetto ceto medio dei loro paesi. Per questo fra le persone
immigrate troviamo laureati, professionisti, piccoli e medi imprenditori,
persone che hanno un gran bagaglio culturale, quasi tutti bilingue. Queste
persone escono dal loro paese con progetti di vita, pianificati dentro le mura
familiari con la speranza di diventare il più presto possibile possessori di un
salario ricco nei paesi del “primo mondo”. Milioni di progetti di vita non
possono esseri considerati come un fenomeno. Al contrario della visione
proposta dalla maggior parte delle ONG, l’immigrazione è una condotta umana che
può essere analizzata solo dentro un processo di mercato mondiale di
forza-lavoro, cioè dentro l’offerta e la domanda internazionale di posti di
lavoro. Una condotta umana che, a seconda
del modo di produzione in cui si attua, stabilisce dei processi. Processi che
hanno delle fasi chiare dentro un tempo e uno spazio.
Premessa alla edizione italiana.
Premessa alla edizione italiana.
Tutto quello che
riguarda l’immigrazione e gli immigrati in Italia è stato già visto. Anche
senza voler contare l’immigrazione interna, che pure nei secoli è stata ingente
(da quelle migliaia di veneti, marchigiani o abruzzesi che bonificarono le
paludi Pontine agli eserciti di braccianti meridionali diventati operai delle
fabbriche del nord), tra il 1870 e il 1970 gli italiani sono andati ovunque nel
mondo in cerca di lavoro e di un futuro migliore per i propri figli. Eppure,
anche se sull'emigrazione italiana si è scritto, raccontato e detto tanto, oggi
sembra quasi che l’argomento sia nuovo. Anche se chiunque abbia fatto le scuole
elementari in Italia sa di cosa parla “Dagli Appennini alle Ande”, se al solo
nominare Marcinelle a ciascuno scappa un brivido o se quella di “Rocco e
i suoi fratelli” è una storia in cui, ancora oggi, molti italiani del sud
potrebbero avvertire una eco di vicende di famiglia.
Purtroppo,
quello dell’immigrazione oggi è un tema “caldo”, argomento buono per i
dibattiti televisivi, le tavole rotonde, i convegni. Un tema che fa discutere e
divide, che spesso contrappone i pro e i contro come ultras di squadre diverse
finché in campo non scende l’esperto, il “cifra tuttologo” di turno, che inizia
a sciorinare dati e percentuali: quanti immigrati arrivano ogni anno in Italia,
da quanti paesi provengono, quanto costa l’immigrazione in termini di PIL.
Cifre che - vere o false che siano a seconda del contesto più o meno ideologico
in cui vengono esposte - fanno dimenticare quasi sempre che quello di cui si
parla non sono numeri, ma esseri umani. Esseri umani che - come gli italiani un
tempo - partono dai loro paesi in cerca di un lavoro e di una vita migliore,
per sé stessi e le proprie famiglie.
Il primo mito
che riguarda l’immigrazione che arriva oggi in Italia è quello dell’“esercito
di affamati” che sbarcherebbe sulle coste con i barconi: la maggioranza delle
persone immigrate in Italia negli ultimi trent’anni non è arrivata in quel
modo. Sono arrivati in aereo, con regolari voli di linea, e via terra
attraversando semplicemente le frontiere in macchina o in pullman. Non sono
arrivati sfidando il mare e la guardia costiera soprattutto perché non ne
avrebbero avuto bisogno. Non esiste legge che impedisca di venire in Italia per
turismo e, infatti, la maggioranza degli stranieri arriva così. Solo che allo
scadere del visto turistico resta in Italia, sia che abbia già ottenuto i
documenti per farlo in modo legale, sia che questo comporti di diventare
“irregolare”. In tutti i casi, la percentuale di chi arriva con i barconi
(immagine reale ma rara, che, ripetuta all'infinito e amplificata ad arte, contribuisce solo a creare nell'immaginario collettivo il timore del’“invasione
straniera”) in realtà è bassissima. Un’immagine buona solo per alimentare le
politiche de "l’Italia agli italiani", con i tutti i loro contorni di
“padanie” e fazzoletti verdi o, peggio, croci celtiche e mani tese.
La verità dei
fatti è un’altra, ma va ricercata molto lontano dalle coste di Lampedusa. Il
primo passo per trovarla può essere entrare in un negozio dell’Ikea. Prezzi
bassi e vasta scelta, ecco il segreto del successo della multinazionale svedese
più conosciuta al mondo.
Ma su cosa
poggia la fortuna del “signor Ikea”? Su un’ottima visione commerciale e su un
altrettanto spiccato senso degli affari, questo certamente, ma anche su
qual cos’altro. Per scoprire cosa basta leggere le etichette sui prodotti.
Bicchieri: made in Bulgaria. Scodelle: made in Russia. Posate: made in China.
Lenzuola: made in India. Cestini in vimini: made in Sri Lanka. Il “signor Ikea”
ha capito, prima di molti altri, che la globalizzazione dei mercati poteva
essere una benedizione. Così l’ha sfruttata, de-localizzando quasi tutte le
produzioni in paesi in cui i diritti dei lavoratori non esistono, i salari sono
bassi e i sindacati non hanno voce. Come c’entra questo con l’immigrazione in
Italia? C’entra, perché è l’esempio concreto del “paradosso Ikea”: oggi il
mercato delle merci è stato globalizzato alla perfezione (chiaramente a seconda
dei punti di vista), ma c’è ancora una merce che non può circolare liberamente.
La forza-lavoro.
Come una
qualsiasi merce, la forza-lavoro rientra in un mercato dove ci sono compratori
e venditori, e, come merce, è soggetta ai ribassi e ai rialzi dell’offerta e
della domanda. Nell'Italia del “dopo boom economico”, gli imprenditori - quelli
grandi, con tanti lavoratori, i “signori Ikea” italiani per intenderci -
cominciano a creare le condizioni per abbassare i costi di produzione. Uno dei
primi sistemi che trovano è appunto andare all'estero, nei paesi dove i salari
sono inferiori rispetto a quelli italiani, producendo là e continuando a
vendere qui. Ma presto questo non basta - anche perché non tutto può essere
de-localizzato - e occorre trovare altre strade. Uno dei primi sistemi ad
essere scoperto grazie al provvidenziale suggerimento dei giuslavoristi, è
stato sicuramente il precariato. Generazioni intere di lavoratori senza
diritti, aggrappati a contratti in continua scadenza, costretti ad accettare
qualsiasi condizione di lavoro pur di sfuggire alla disoccupazione. Un’idea
brillante. Ma neppure questo bastava. Così gli imprenditori chiedono aiuto allo
Stato, il quale - per contribuire ad abbassare i costi - fa in modo di
richiamare in Italia un gran numero di lavoratori stranieri. Più o meno formati
o scolarizzati non importa, tanto devono essere impiegati in lavori di basso
profilo, l’importante è che siano “irregolari”. Perché il trucco è proprio
questo: che la forza-lavoro non arrivi dalla porta, ma dalla finestra. Cioè
senza diritti, imballata e pronta per essere sfruttata. I lavoratori devono
poter essere assunti irregolarmente, devono essere licenziabili senza creare
problemi, li si deve sempre poter ricattare. Un’altra gran bella trovata, che
oltretutto contribuisce a dissuadere anche i precari italiani dal chiedere
maggiori diritti, del tipo: “Se rifiuti di scaricare bancali in magazzino per
otto ore al giorno chiamo due marocchini, li pago la metà, e loro mi dicono
anche grazie!”.
Gli imprenditori
che importano materie prime o strumenti di produzione dall'estero pagano i
costi del trasporto, mentre per avere manodopera straniera sottopagata in
Italia non ci sono molti oneri aggiuntivi. L’importazione di operai stranieri è
il miglior affare che un Stato può fare in tempi di crisi: ricevere una persona
già in età lavorativa senza aver speso un euro per lui/lei. Una simpatica forma
di rapina colonialista moderna, che sottrae braccia e cervelli ai paesi
d’origine, ghettizzando i lavoratori immigrati in nicchie di lavoro non
qualificato, rifiutando di riconoscere titoli di studio esteri e
specializzazioni conseguite altrove. Ma d’altra parte la domanda del mercato
sembra attestarsi solo sulle fasce basse: non sono richiesti ingegneri
meccanici, ma turnisti alla catena di montaggio. Non agronomi, ma raccoglitori
di pomodori. Eppure, così come si sottoscrivono accordi di commercio bilaterale
o trattati di libero commercio, si dovrebbero poter firmate anche “trattati di
libero lavoro”, almeno con tutti quei paesi che - nel corso degli ultimi
cent’anni - hanno visto nell'emigrazione italiana un elemento socialmente
significativo. Ma il concetto di reciprocità sembra non essere molto familiare
ai governi.
Così arriviamo
ad un mercato in cui la maggior parte degli italiani non accetta di lavorare in
un bar per 5 euro l’ora. Lavoratori il cui tenore di vita - finora tutelato da
associazioni e sindacati - impone di rifiutare di andare a raccogliere la
frutta per 20 euro la giornata. Uomini e donne che, avendo studiato e investito
sulle proprie specializzazioni, non accettano di prendersi cura di un anziano
per 600 euro al mese o di fare le pulizie nelle case a 8 euro l’ora. Il minimo
offerto dal mercato è diventato troppo basso. Perciò non è affatto vero, come
qualcuno vuole far credere, che gli italiani non vogliono più fare certi
lavori. Semplicemente si rifiutano di farli per paghe così basse. Quando i
lavori manuali - magari anche umili - vengono ben retribuiti, gli italiani
lottano per accaparrarseli esattamente come gli altri: non c’è concorso per
posti da “operatore ecologico” indetto da una municipalizzata che non veda
migliaia di domande di italiani, ben oltre l’offerta. Il falso ideologico dei
lavoratori stranieri che coprono i vuoti lasciati dagli italiani vuole solo
nascondere il problema dello sfruttamento dei lavoratori, assopendo le
coscienze e cancellando i diritti di tutti.
Chi sostiene che
l’immigrazione sia un “fenomeno”, dà un’immagine assolutamente falsata della
questione. L’immigrazione non ha nulla di occasionale. Non è un esodo
improvvisato di persone in fuga da qualcosa o qualcuno. Non nasce dall'oggi al
domani. L’immigrazione è, piuttosto, la prima e più visibile conseguenza
dell’attuale sistema del lavoro globalizzato: un sistema in cui le condotte umane
vengono indirizzate esclusivamente attraverso le leve economiche della domanda
e dell’offerta di lavoro. Il porre l’accento sull'emergenza, sugli sbarchi, sul
tema “dell’invasione straniera” (così come sulle quote, sui permessi di
soggiorno, sulla repressione), mette in ombra il nodo centrale attorno al quale
tutto ruota: il mercato ha bisogno del lavoro immigrato, e ne ha bisogno
proprio nella sua forma attuale. Come in passato si nascondeva l’origine del
profitto - che traeva origine dal plusvalore generato degli operai - oggi si
nasconde il plusvalore che generano i lavoratori immigrati.
L’Italia è un
paese che, da molto tempo ormai, ha una crescita demografica negativa. Questo
significa che, man a mano che la popolazione italiana ha iniziato a invecchiare,
sono rimasti dei “posti vuoti” nella società. La dinamica è più facile da
capire in un piccolo centro che non nelle grandi città: se in un paesino muore
il macellaio o il farmacista, il giorno successivo la gente si preoccuperà di
sapere chi venderà la carne o i medicinali, perché quel “posto” è rimasto
vuoto. Nelle città l’unica cosa a cui possiamo guardare sono i dati generali
relativi alla popolazione, che, stando alle statistiche, ogni anno diminuisce.
Ma questo oltre a “lasciare vuoti dei posti” crea anche una contrazione del
mercato. Man mano che la popolazione invecchia diminuisce il proprio valore
d’uso, nel senso che non contribuisce più come una volta a far girare
l’economia: gli anziani non comprano (o lo fanno di rado) case, auto, vestiti,
elettrodomestici e tutto quello che la società dei consumi produce
incessantemente. Magari incrementano le proprie richieste di servizi (donne
delle pulizie, badanti, medici e infermieri), ma iniziano a porsi ai margini
del mercato dei beni. Inoltre, le persone anziane non lavorano più, ma
percepiscono una pensione, diventando quindi per la collettività una voce in
passivo. Perciò, ricapitolando: la popolazione invecchia, la natalità è
negativa, gli anziani diventano un costo che grava sulle spalle della
popolazione economicamente attiva, che - soprattutto considerando il nostro
alto tasso di disoccupazione - si assottiglia sempre di più. Quindi? Quindi
arrivano gli immigrati.
martedì 1 aprile 2014
Mihai Muntean, noto cittadino rumeno parla sul Libro: L'immigrazione come processo in Italia di Edgar Galiano.
L’immigrazione come processo in Italia
Un libro pieno di racconti, ricco di testimonianze non che una accurata analisi del processo del immigrazione in Italia, scritto dal mio caro amico Edgar Galiano, ecuadoregno di nascita, immigrato in Italia da più di 25 anni.
Con un passato di studi in Lettere e Filosofia al Università di Quito, non che da militante agguerrito per i diritti civili, Edgar e uno de personaggi di spicco delle lotta per i diritti, di tutti i migranti.
Organizzatore e partecipe a tutte le grandi manifestazioni di piazza, dibattiti, convegni, tavoli da lavoro istituzionali, la sua tenacia, la sua retorica e padronanza delle problematiche del immigrazione hanno fatto di lui un leader indiscusso delle battaglie per i diritti civili dei cittadini del mondo immigrati in Italia, e la mia testimonianza e quella di uno degli tanti amici che hanno partecipato insieme a lui a tutto questo percorso di lotta.
Assieme ad altri amici immigrati, e anche membro fondatore del “Comitato immigrati in Italia”,un organizzazione multietnica, natta anni fa con lo scopo di dare forma e contenuto alle richieste ed esigenze degli immigrati, davanti alle autorità istituzionali.
In tutti questi anni, Edgar non ha mai mollato l’impegno presso al cuore, di difendere e rivendica dei diritti. Sarebbe stato un peccato, se la sua esperienza non fosse stata raccolta in maniera molto semplice di chi, tutto quello raccontato fa parte della sua vita, fatti ed eventi accaduti, e di cui lui e stato protagonista e partecipe.
Allo stesso tempo la sua cultura ed esperienza nel campo sociale, e politico, hanno fatto si che il libro prendesse anche una forma ed una stesura scientifica, di un autore con una grande capacità sintetica ed analitica, siche al mio avviso può essere proposto senza problemi come bibliografia di studio del fenomeno migratorio in Italia, per le materie attinenti alle scienze sociali e politiche.
Come ho già detto al inizio di questa mia presentazione, il libro e strutturato in sei capitoli, ognuno di essi con i sotto capitoli corrispettivi:
Cap. I - L’immigrazione come processo in Italia.
1.1- Il sistema Italiano d’immigrazione.
1.2-Le cause.
1.3-Le fasi
Cap. II - L’utilità economica degli immigrati.
2.1- Forza di lavoro delle persone straniere.
2.2-L’imprenditoria delle persone straniere.
Cap. III -Lo Stato e le forze politiche.
3.1 –Cornice legale.
3.2-Politica e la demagogia elettoralistica.
3.3-La nuova Politica
Cap. IV -I lavoratori immigrati ed il sindacalismo.
4.1-I diritti dei lavoratori.
4.2-Gli iscritti immigrati nel sindacalismo.
Cap. V -L’accoglienza ed integrazione.
5.1- L’ accoglienza.
5.2-L’Integrazione.
Cap. VI -I lavoratori immigrati “anche” pensano, parlano e lottano.
6.1-La soggettività degli immigrati e le loro rivendicazioni.
6.2- L’organizzazione e lotta civile.
Come si può immaginare dai titoli, il libro farà sicuramente discutere, per che i temi non sono trattati con guanti di velluto, ed io devo dire che ho ritrovato nelle sue pagine lo spirito di squadra e soprattutto le idee comuni che ci hanno tenuti insieme durante tutti questi anni, cioè la consapevolezza che le comunità dei migranti si devono auto organizzare se davvero vogliono avere mai un peso sociale e politico rilevante, nel perseguimento del integrazione e convivenza. E per tutto questo non ci e rimasto molto tempo, per che vengono forte avanti le nuove generazioni di cittadini italiani di nascita, ma non cittadini di diritto, una realtà con la quale la società italiana si confronterà e scontrerà duramente, tra non molto.
Per che vorrei vedere come faranno le istituzioni dello stato a spiegare ai giovani delle seconde generazioni degli immigrati, che loro, nonostante siano nati, cresciuti, ed educati in Italia, non sono pero cittadini italiani, e che i loro diritti sono limitati, rispetto ai loro connazionali!?
Un capitolo importante e dedicato al diritto di voto che non c’è, per i cittadini extracomunitari, i quali se lo sognano, nello stesso tempo in cui, chi c’è l’ha, non lo usa, come i neo comunitari della mia comunità, cioè i romeni!
In soma, non ve lo voglio raccontare tutto, per cui lascio a voi il piacere di leggerlo, discuterlo, lodarlo oppure criticarlo.
Concludo e chiudo, non prima di ricordare colei che si e presso l’impegno editoriale e di curatrice di questo libro, una giovane, bella e brava giornalista italiana figlia di una famiglia mista come tantissime famiglie oggi in Italia, Elisa Scourtaniotu.
Ringrazio anche agli amici, numerosi di varie etnie che hanno risposto al invito di partecipare alla presentazione del libro, ed alle belle e brave studentesse delle varie università di italia, anche esse figlie dei migranti, che si sono presso sul serio l’impegno di presentarci ognuna di loro, un capitolo del libro, facendosi con cura degli appunti elaborati, ed a tutti coloro che hanno presso la parola alla fine, chiudendo l’incontro con degli spunti di riflessione sul mondo degli immigrati in Italia.
Ancora una volta ringrazio al mio caro amico Edgar, per avermi fatto l’onore ed il piacere di invitarmi a presentare e moderare questo bel evento, in un giorno ricco di significati per i popoli; La vigilia della Pasqua!
Grazie di cuore, cari amici!
Un libro pieno di racconti, ricco di testimonianze non che una accurata analisi del processo del immigrazione in Italia, scritto dal mio caro amico Edgar Galiano, ecuadoregno di nascita, immigrato in Italia da più di 25 anni.
Con un passato di studi in Lettere e Filosofia al Università di Quito, non che da militante agguerrito per i diritti civili, Edgar e uno de personaggi di spicco delle lotta per i diritti, di tutti i migranti.
Organizzatore e partecipe a tutte le grandi manifestazioni di piazza, dibattiti, convegni, tavoli da lavoro istituzionali, la sua tenacia, la sua retorica e padronanza delle problematiche del immigrazione hanno fatto di lui un leader indiscusso delle battaglie per i diritti civili dei cittadini del mondo immigrati in Italia, e la mia testimonianza e quella di uno degli tanti amici che hanno partecipato insieme a lui a tutto questo percorso di lotta.
Assieme ad altri amici immigrati, e anche membro fondatore del “Comitato immigrati in Italia”,un organizzazione multietnica, natta anni fa con lo scopo di dare forma e contenuto alle richieste ed esigenze degli immigrati, davanti alle autorità istituzionali.
In tutti questi anni, Edgar non ha mai mollato l’impegno presso al cuore, di difendere e rivendica dei diritti. Sarebbe stato un peccato, se la sua esperienza non fosse stata raccolta in maniera molto semplice di chi, tutto quello raccontato fa parte della sua vita, fatti ed eventi accaduti, e di cui lui e stato protagonista e partecipe.
Allo stesso tempo la sua cultura ed esperienza nel campo sociale, e politico, hanno fatto si che il libro prendesse anche una forma ed una stesura scientifica, di un autore con una grande capacità sintetica ed analitica, siche al mio avviso può essere proposto senza problemi come bibliografia di studio del fenomeno migratorio in Italia, per le materie attinenti alle scienze sociali e politiche.
Come ho già detto al inizio di questa mia presentazione, il libro e strutturato in sei capitoli, ognuno di essi con i sotto capitoli corrispettivi:
Cap. I - L’immigrazione come processo in Italia.
1.1- Il sistema Italiano d’immigrazione.
1.2-Le cause.
1.3-Le fasi
Cap. II - L’utilità economica degli immigrati.
2.1- Forza di lavoro delle persone straniere.
2.2-L’imprenditoria delle persone straniere.
Cap. III -Lo Stato e le forze politiche.
3.1 –Cornice legale.
3.2-Politica e la demagogia elettoralistica.
3.3-La nuova Politica
Cap. IV -I lavoratori immigrati ed il sindacalismo.
4.1-I diritti dei lavoratori.
4.2-Gli iscritti immigrati nel sindacalismo.
Cap. V -L’accoglienza ed integrazione.
5.1- L’ accoglienza.
5.2-L’Integrazione.
Cap. VI -I lavoratori immigrati “anche” pensano, parlano e lottano.
6.1-La soggettività degli immigrati e le loro rivendicazioni.
6.2- L’organizzazione e lotta civile.
Come si può immaginare dai titoli, il libro farà sicuramente discutere, per che i temi non sono trattati con guanti di velluto, ed io devo dire che ho ritrovato nelle sue pagine lo spirito di squadra e soprattutto le idee comuni che ci hanno tenuti insieme durante tutti questi anni, cioè la consapevolezza che le comunità dei migranti si devono auto organizzare se davvero vogliono avere mai un peso sociale e politico rilevante, nel perseguimento del integrazione e convivenza. E per tutto questo non ci e rimasto molto tempo, per che vengono forte avanti le nuove generazioni di cittadini italiani di nascita, ma non cittadini di diritto, una realtà con la quale la società italiana si confronterà e scontrerà duramente, tra non molto.
Per che vorrei vedere come faranno le istituzioni dello stato a spiegare ai giovani delle seconde generazioni degli immigrati, che loro, nonostante siano nati, cresciuti, ed educati in Italia, non sono pero cittadini italiani, e che i loro diritti sono limitati, rispetto ai loro connazionali!?
Un capitolo importante e dedicato al diritto di voto che non c’è, per i cittadini extracomunitari, i quali se lo sognano, nello stesso tempo in cui, chi c’è l’ha, non lo usa, come i neo comunitari della mia comunità, cioè i romeni!
In soma, non ve lo voglio raccontare tutto, per cui lascio a voi il piacere di leggerlo, discuterlo, lodarlo oppure criticarlo.
Concludo e chiudo, non prima di ricordare colei che si e presso l’impegno editoriale e di curatrice di questo libro, una giovane, bella e brava giornalista italiana figlia di una famiglia mista come tantissime famiglie oggi in Italia, Elisa Scourtaniotu.
Ringrazio anche agli amici, numerosi di varie etnie che hanno risposto al invito di partecipare alla presentazione del libro, ed alle belle e brave studentesse delle varie università di italia, anche esse figlie dei migranti, che si sono presso sul serio l’impegno di presentarci ognuna di loro, un capitolo del libro, facendosi con cura degli appunti elaborati, ed a tutti coloro che hanno presso la parola alla fine, chiudendo l’incontro con degli spunti di riflessione sul mondo degli immigrati in Italia.
Ancora una volta ringrazio al mio caro amico Edgar, per avermi fatto l’onore ed il piacere di invitarmi a presentare e moderare questo bel evento, in un giorno ricco di significati per i popoli; La vigilia della Pasqua!
Grazie di cuore, cari amici!
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